martedì 23 febbraio 2010

mercoledì 5 novembre 2008

Caos Calmo - recensione

L'epicentro del film di Grimaldi è la partecipazione emotiva:
quell'istinto che ci porta ad assumerci delle reponsabilità, a portare avanti i nostri progetti di fronte alle difficoltà, a coinvolgere i nostri prossimi (amici o avversari) in ciò che siamo, in ciò che facciamo della nostra vita.
E come evidenziare meglio un concetto così astratto, eppure così determinante nel quotidiano, se non privandone il protagonista!
Il rendersi protagonista di un atto eroico, salvando insieme al fratello la vita di due sconosciute che probabilmente non volevano essere salvate, un atto che dunque richiede una grande dose di 'istinto', è il contraltare al periodo di vuoto, di calma piatta apparente che segue la contemporanea morte della moglie.
Una morte improvvisa, che lascia Pietro 'solo', davanti ad una figlia che non sa ingenuamente spiegarsi perchè il padre, in un momento così critico, non fosse stato presente.

E' dunque forse la lotta al senso di colpa che convince Pietro a dichiarare alla figlia 'io ci sarò!' in modo così radicale da fargli mettere tenda nel giardino antistante la scuola della figlia: tutti i giorni, per mesi, attende l'uscita della figlia e nel contempo stacca la spina da tutto ciò in cui si era impegnato, progetti di vita
e di carriera.
Ma è proprio qui che comincia la sua 'ricrescita', senza che egli se ne accorga.
Nell'attesa di un sentimento di dolore e di disperazione che stranamente non arriva, mentre osserva sconcertato il suo vuoto di sentimenti, giungono a lui come in pellegrinaggio le vite altrui, ma proprio tutte: amici, rivali, parenti, perfetti sconosciuti...
In qualche modo, Pietro viene preso come riferimento, forse proprio perchè manifesta quel distacco di cui tutti avrebbero (in parte!) bisogno.
Pietro diviene confessore involontario di tutto il marcio che l'umanità sa produrre intorno a sè: gelosie, tradimenti (di amore come di amicizia), spietatezza, stupidità.

Qui non traspare la voglia di lotte sindacali, di rivalsa sociale, di recupero dei sentimenti, della tradizione: la mano del regista è come una mano invisibile che abbandona la lotta politica per testimoniare la lotta dell'individuo per l'affermazione, per trovare un proprio ruolo nella breve vita che ci è data.
E' proprio quest'ondata di sentimenti, che inizialmente lo attraversa senza colpo ferire, a risollevarlo man mano dal torpore, per poi infrangersi di colpo, come ci si aspettava, in un momento di solitudine nell'abitacolo della sua auto, nella Roma notturna accompagnata da un brano dei RadioHead (racconta dell'anima che transita per il fiume eterno, guidata verso il paradiso e accompagnata da angeli e da tutte le persone, cose e sensazioni familiari, come un fazzoletto che racchiude passato e futuro e che viaggia sempre con noi, senza che ci pervada alcun timore o dubbio: forse Pietro aveva navigato per un pò in quel fiume, prima di reimmergersi nella vita...).

La scena di sesso, neanche tanto scandalosa in sè, se non per la breve distanza dalla figlia che dormiva nella stanza accanto, segna proprio la brutalità del ritorno al vissuto, ed è parte di quel pianto e di quella sofferenza,
che ora Pietro condivide con l'altro essere umano che aveva salvato (e che diversamente da lui aveva soffocato dentro di sè l'accaduto, fino al pranzo con il fratello di Pietro, dove il sentir raccontare gli avvenimenti in terza persona aveva ridestato improvvisamente l'angoscia di quei momenti).

Il collega che si erge a vittima di una fusione aziendale, attaccando gli affari torbidi dei superiori e celando i propri; la cognata che cerca un improbabile rifugio sentimentale dalle proprie insicurezze nella calma imperturbabile di Pietro; il fratello che pensa ancora come un ragazzo, ma che è ancora capace di pronunciare la semplice frase: "a me manchi tu, Pietro"; il capo del personale che si perde in riflessioni filosofiche per evitare di affrontare la dura realtà dei tagli; le colleghe della moglie che cercano inutilmente di coinvolgere Pietro nelle quotidiane civetterie; infine il grande leader, l'artefice delle tanto vituperate trasformazioni aziendali, che si incontra con Pietro per un motivo 'banalmente' personale e sentimentale: l'amante che hanno in comune! (nessuno ci crederà, proprio perchè i rapporti interpersonali sono diventati scontati).

La figlia? Proprio lei che aveva scatenato la sua incredibile trasformazione, fa più presto di lui ad adattarsi alla nuova realtà, e lo prega di non persistere in quel comportamento che per molte sue amichette era considerato ridicolo...
E Pietro, che mai per un altro avrebbe ceduto ad una mentalità conformista, specie ora che se ne era liberato, per lei lo farà senza battere ciglio! In fondo, è anche la sua vittoria...

Il quadro ben ritagliato di personaggi si completa con due sconosciuti, un vecchio che lo osserva dalla finestra che lo invita a pranzo, e una ragazza che porta a spasso il cane, scambiando quotidianamente con lui sguardi di curiosità: la sua natura involontaria e quasi comica di consolatore si trasmette in modo irresistibile al di là di ogni parola detta!

Il regista è stato delicato ma incisivo allo stesso tempo e mostra grande maturità nel non ricercare o esaltare il pathos a tutti i costi.
Di Moretti che dire? AMMA (per non usare l'acronimo inglese IMHO), come regista affascina... ma come attore convince !

lunedì 29 settembre 2008

Le poche tracce di Fanny e Clara

Questo è un brano per solo piano di Fanny Mendelssohn:


Il ridotto numero di video (2) dedicati a lei è una riprova di quanto detto al post precedente..

Andiamo molto meglio con Clara Schumann, dove si trovano una cinquantina di video, 3-4 dei quali dedicati al trio op.17:


Ma non cambia la sostanza del discorso...

venerdì 26 settembre 2008

Donne compositrici

Concerto in onore di Clara Schumann e Fanny Mendelssohn
Venerdì 26 settembre 2008, Tivoli (Villa d'Este)

Rassegna "Jeux d'Art" http://www.lastanzadellerose.eu/sections/it/
pianista: Francesco Nicolosi http://www.francesconicolosi.it/

Confesso di aver accompagnato Enza a questo concerto con un pò di pregiudizio.
La prima sorpresa è stata constatare che il concerto (pubblicizzato con un pò di furbizia a nome di MENDELSSOHN / SCHUMANN) si riferiva alle composizioni della sorella di Felix, Fanny Henselt-Mendelssohn, e della moglie di Robert, Clara Schumann.
Armatomi di 'pazienza', poco prima di ascoltare i brani per trio (pianoforte, violino e violoncello), le avevo detto che non doveva aspettarsi granchè (e ad essere sinceri che la musica strumentale è un'arte troppo astratta per la mente femminile, troppo 'geometrica').
La seconda sopresa l'ho avuta pochi istanti dopo l'attacco del trio in Rem di Fanny Mendelssohn:non si trattava di musica salottiera, nè scontata.
Piuttosto vi leggevo un'ansia di far emergere sensazioni inespresse, una ricerca costante di bellezza pura, assoluta, piuttosto che formale.
La partitura sembrava molto fluida e ricca dei motivi tradizionali del primo romanticismo.
All'accenno del secondo tema, veramente ispirato, Enza mi ha guardato come per dire "erano queste le dilettanti che non volevi farmi ascoltare?".
In realtà, dovevo assolutamente trovare dei difetti, o spiegarmi perchè queste due compositrici fossero arrivate sino a noi sconosciute..
E dunque, il primo tempo era troppo prolisso, il secondo e il terzo al confronto erano esercizietti di stile, il quarto una sequenza di idee musicali giustapposte senza coerenza interna.
Il trio insomma, mancava di robustezza, di continuità nel discorso musicale, anzi parecchie risoluzioni sembravano un pò isteriche sia da un punto di vista tonale che ritmico.
E tuttavia non potevo non pensare a cosa sarebbe potuta diventare questa donna se fosse stata incoraggiata dal marito e dal fratello alla composizione, cosa che a prescindere dalle 'buone parole', sembra non fosse avvenuta, come testimonia una lettera di Felix alla sorella, letta in sala da un'attrice di teatro prima dell'esibizione.
A proposito, mi ha dato grande soddisfazione rivedere Nicolosi, già apprezzato a Napoli in varie occasioni (un pò più 'brizzolato' ma sempre tanto abile nel fraseggio, da poter ribattezzare 'la scuola del legato e dello staccato' di Carl Nicolosi), un talentuoso esponente della scuola napoletana di cui ho avuto qualche rudimento.

Dopo aver riveduto le mie posizioni, il trio in Solm di Clara Schumann mi sembrava veramente un piccolo capolavoro: simile nello stile a Robert, ma con una grande solidità nella struttura del brano, sia sul piano formale che nel periodo musicale, soprattutto priva delle frequenti mutazioni d'umore tipiche di Robert.
La sua forza di madre (di ben otto figli) e di moglie, consolatrice di un marito - genio affetto da depressione bipolare (sconfinata poi nella pazzia) si può intuire bene dalle qualità della sua musica.
Certo, mi sono detto, queste sono le compositrici più note dell'800, assieme a poche altre eccezioni, e in entrambi i casi queste donne hanno vissuto sin da adolescenti una simbiosi profonda con due geni della musica. Dunque ora la domanda diviene questa: le due artiste avrebbero sviluppato da sole questo tipo di sensibilità (e di genialità) senza lo stimolo di due compositori del calibro di Felix Mendelssohn e di Robert Schumann?
E se una donna può arrivare a tali livelli spontaneamente nella composizione musicale, come mai anche in tutto il '900 e fino ai periodi più recenti sono scarse le tracce del genio femminile in ambito classico, jazz, persino nella musica per il cinema?