mercoledì 5 novembre 2008

Caos Calmo - recensione

L'epicentro del film di Grimaldi è la partecipazione emotiva:
quell'istinto che ci porta ad assumerci delle reponsabilità, a portare avanti i nostri progetti di fronte alle difficoltà, a coinvolgere i nostri prossimi (amici o avversari) in ciò che siamo, in ciò che facciamo della nostra vita.
E come evidenziare meglio un concetto così astratto, eppure così determinante nel quotidiano, se non privandone il protagonista!
Il rendersi protagonista di un atto eroico, salvando insieme al fratello la vita di due sconosciute che probabilmente non volevano essere salvate, un atto che dunque richiede una grande dose di 'istinto', è il contraltare al periodo di vuoto, di calma piatta apparente che segue la contemporanea morte della moglie.
Una morte improvvisa, che lascia Pietro 'solo', davanti ad una figlia che non sa ingenuamente spiegarsi perchè il padre, in un momento così critico, non fosse stato presente.

E' dunque forse la lotta al senso di colpa che convince Pietro a dichiarare alla figlia 'io ci sarò!' in modo così radicale da fargli mettere tenda nel giardino antistante la scuola della figlia: tutti i giorni, per mesi, attende l'uscita della figlia e nel contempo stacca la spina da tutto ciò in cui si era impegnato, progetti di vita
e di carriera.
Ma è proprio qui che comincia la sua 'ricrescita', senza che egli se ne accorga.
Nell'attesa di un sentimento di dolore e di disperazione che stranamente non arriva, mentre osserva sconcertato il suo vuoto di sentimenti, giungono a lui come in pellegrinaggio le vite altrui, ma proprio tutte: amici, rivali, parenti, perfetti sconosciuti...
In qualche modo, Pietro viene preso come riferimento, forse proprio perchè manifesta quel distacco di cui tutti avrebbero (in parte!) bisogno.
Pietro diviene confessore involontario di tutto il marcio che l'umanità sa produrre intorno a sè: gelosie, tradimenti (di amore come di amicizia), spietatezza, stupidità.

Qui non traspare la voglia di lotte sindacali, di rivalsa sociale, di recupero dei sentimenti, della tradizione: la mano del regista è come una mano invisibile che abbandona la lotta politica per testimoniare la lotta dell'individuo per l'affermazione, per trovare un proprio ruolo nella breve vita che ci è data.
E' proprio quest'ondata di sentimenti, che inizialmente lo attraversa senza colpo ferire, a risollevarlo man mano dal torpore, per poi infrangersi di colpo, come ci si aspettava, in un momento di solitudine nell'abitacolo della sua auto, nella Roma notturna accompagnata da un brano dei RadioHead (racconta dell'anima che transita per il fiume eterno, guidata verso il paradiso e accompagnata da angeli e da tutte le persone, cose e sensazioni familiari, come un fazzoletto che racchiude passato e futuro e che viaggia sempre con noi, senza che ci pervada alcun timore o dubbio: forse Pietro aveva navigato per un pò in quel fiume, prima di reimmergersi nella vita...).

La scena di sesso, neanche tanto scandalosa in sè, se non per la breve distanza dalla figlia che dormiva nella stanza accanto, segna proprio la brutalità del ritorno al vissuto, ed è parte di quel pianto e di quella sofferenza,
che ora Pietro condivide con l'altro essere umano che aveva salvato (e che diversamente da lui aveva soffocato dentro di sè l'accaduto, fino al pranzo con il fratello di Pietro, dove il sentir raccontare gli avvenimenti in terza persona aveva ridestato improvvisamente l'angoscia di quei momenti).

Il collega che si erge a vittima di una fusione aziendale, attaccando gli affari torbidi dei superiori e celando i propri; la cognata che cerca un improbabile rifugio sentimentale dalle proprie insicurezze nella calma imperturbabile di Pietro; il fratello che pensa ancora come un ragazzo, ma che è ancora capace di pronunciare la semplice frase: "a me manchi tu, Pietro"; il capo del personale che si perde in riflessioni filosofiche per evitare di affrontare la dura realtà dei tagli; le colleghe della moglie che cercano inutilmente di coinvolgere Pietro nelle quotidiane civetterie; infine il grande leader, l'artefice delle tanto vituperate trasformazioni aziendali, che si incontra con Pietro per un motivo 'banalmente' personale e sentimentale: l'amante che hanno in comune! (nessuno ci crederà, proprio perchè i rapporti interpersonali sono diventati scontati).

La figlia? Proprio lei che aveva scatenato la sua incredibile trasformazione, fa più presto di lui ad adattarsi alla nuova realtà, e lo prega di non persistere in quel comportamento che per molte sue amichette era considerato ridicolo...
E Pietro, che mai per un altro avrebbe ceduto ad una mentalità conformista, specie ora che se ne era liberato, per lei lo farà senza battere ciglio! In fondo, è anche la sua vittoria...

Il quadro ben ritagliato di personaggi si completa con due sconosciuti, un vecchio che lo osserva dalla finestra che lo invita a pranzo, e una ragazza che porta a spasso il cane, scambiando quotidianamente con lui sguardi di curiosità: la sua natura involontaria e quasi comica di consolatore si trasmette in modo irresistibile al di là di ogni parola detta!

Il regista è stato delicato ma incisivo allo stesso tempo e mostra grande maturità nel non ricercare o esaltare il pathos a tutti i costi.
Di Moretti che dire? AMMA (per non usare l'acronimo inglese IMHO), come regista affascina... ma come attore convince !

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